PRIMI ANNI
DI MINISTERO
A VICENZA,
VENEZIA
E SALUZZO
Subito dopo l’ordinazione sacerdotale, P. Gioachino Maria Rossetto continua la sua presenza a VICENZA, nel convento presso il santuario di Monte Berico. Inizialmente, si dedica a completare la sua formazione liturgica, e soprattutto allo studio della morale per prepararsi al ministero della riconciliazione. Del fervore e tranquillità di questo primo tempo del suo sacerdozio parla lui stesso scrivendo al suo maestro e guida, il P. Lépicier:
“Passo quasi tutto il giorno nella mia amata cella, e qui mi dedico con impegno a prepararmi al grande ministero che mi attende e che desidero poter svolgere con il maggior frutto delle anime, a gloria di Dio. Mi ritorna alla memoria che questo era l’ideale da me più vagheggiato fin dai primi anni della vocazione, quando mi dicevo: – Che bella cosa morire in confessionale! Quanto bene vi si può fare!” (2.11.1903).
Supera gradualmente gli esami allora prescritti, ed inizia a dedicarsi al ministero della confessione; questo rappresenterà sempre uno dei più notevoli e fecondi aspetti del suo sacerdozio. Già fin d’ora, l’infittirsi del ministero penitenziale lo costringe, un po’ alla volta, a lasciare altre attività minori.
Ma si aprono anche altri campi di apostolato. Specialmente dal 1904 in poi, il ministero sacerdotale vede P. Gioachino in una crescente attività nel servizio della predicazione, ponendo una particolare cura “all’arte del dire”. Un aspetto, però, che progressivamente subisce una prospettiva diversa nella sua visione, fino a poter affermare:
“L’oratoria è un’arte bella, come la pittura, la scultura, la poesia, la musica… Ma noi non siamo per quelle cose. Noi siamo per il ministero della Parola, per spezzare il pane ai piccoli, istruire gli ignoranti, convertire i peccatori. E questo non è frutto dell’oratoria, ma dello zelo, della preghiera, della mortificazione, dell’amore di Dio, del capire bene il prezzo di un’anima, e la Passione di Gesù …Questo amore ci fa oratori naturali, non pedanti” (Quaderno del Frumento, 13.10.1930).
Il suo “zelo” si rivela molto forte e profondo, soprattutto nell’accoglienza dei numerosi gruppi di fedeli che si recano al santuario di Monte Berico. Esercita così un’azione pastorale diretta, che lo pone a contatto con la realtà in cui vive ed agisce il popolo di Dio. È una realtà ampia e complessa, molto diversa da quella che egli aveva trovato nei trattati di filosofia e teologia, sui quali era rimasto chino negli anni di studio. Questo rappresenta un notevole banco di prova e, nello stesso tempo, di crescita nel suo cammino umano e spirituale.
Sotto questo aspetto, non manca mai, in lui, un’intensa ricerca dell’interiorità, come radice per un fecondo ministero, nella gioiosa persuasione che la vita religiosa e sacerdotale possa diventare piena realizzazione di sé nella consacrazione a Dio e, nello stesso tempo, incisiva testimonianza evangelica. Lui stesso ne parla, scrivendo al fratello Don Giovanni:
“Se almeno noi sacerdoti cercassimo di conoscere l’alta dignità a cui ci ha innalzati Gesù! Il nostro fine, che è la gloria di Dio! Lo stretto obbligo di farci santi! La brevità del tempo a ciò concessoci! La nostra insufficienza! Il nostro nulla, e il gran bene che ci aspetta!” (1903).
Improvvisamente, nell’autunno del 1907, P. Gioachino viene destinato al convento del Sacro Cuore, già Abbazia della Misericordia, in VENEZIA, e poco dopo è nominato priore di quella fraternità. Qui l’attività del giovane frate vicentino s’indirizza subito verso un’incisiva azione pastorale. Il suo ministero favorisce lo sviluppo della comunione frequente, consolida la prassi dell’adorazione eucaristica e dà nuovo slancio alla devozione alla Madonna Addolorata, da sempre venerata come Patrona dell’Ordine dei Servi. La sua pratica pastorale riscuote un grande successo in tutta la città, ed egli stesso ne dà notizia in una lettera al papà Gerolamo:
“Se foste venuto a fine settembre avreste visto la nostra piccola chiesa… che Paradiso! Che belle funzioni! Quando è venuto il Patriarca a darci la benedizione, alla sera, mentre lo accompagnavo alla gondola, mi disse: – Pare impossibile, e non si sa spiegare come venga tanta gente in questo ‘canton’! (angolo fuori mano)” (5.10.1909).
Ed una frequentatrice di quella chiesa dichiara che
“in quell’epoca, la voce pubblica di Venezia, quando nominava la chiesa dell’Abbazia, la chiamava ‘la chiesa dei miracoli’, attribuiti allo zelo di Padre Rossetto”.
Questo dinamismo pastorale trova feconde radici nel cammino spirituale di P. Gioachino, costantemente alimentato dalla centralità del culto eucaristico e dalla contemplazione di Cristo, venerato ed adorato nel mistero del suo Cuore, origine e simbolo dell’amore con il quale Dio ama il mondo e l’intera umanità. Non a caso il giovane frate incentiva la devozione al Sacro Cuore, alimentandosi con la spiritualità di Margherita Maria Alacoque, fino a fondare un’associazione per tale scopo. Lo ricorda egli stesso, ben più tardi:
“A Venezia, nella chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù, fin dal 1908, sorse una particolare devozione al Sacro Cuore. Essa assunse un carattere più spiccato verso il 1910, e si trasformò in una vera Associazione: gli adulti presero il nome di ‘Anime adoratrici’, i giovani presero il nome di ‘Piccole Vittime del Cuore SS.mo di Gesù’” (1927).
Dai due rami di questa Associazione saranno tratte le prime pietre dell’Opera che egli avrebbe avviato un decennio più tardi.
Intanto il ministero di P. Rossetto s’indirizza, progressivamente, anche verso l’accompagnamento spirituale delle anime: diviene confessore nel vicino convento delle Suore Canossiane, ed avvia una discreta ma austera corrispondenza di direzione spirituale con alcune giovani “Piccole Vittime”. In tali lettere, ritorna spesso il richiamo alla devozione verso il Sacro Cuore, soprattutto come riparazione alle offese recategli. Nella direzione spirituale di questi anni si fa viva la caratteristica dell’”immolazione”, che pian piano assume spazi più ampi nell’abbandono in Dio e nella partecipazione al sacerdozio di Cristo. Ad una sua figlia spirituale scrive:
“Ha bisogno di immolazione? Ha sete di purezza? Si offra tutta a Dio, con perfetto distacco, ed avrà tutto. Non le consiglio penitenze corporali… Nel silenzio e nella pace del perfetto abbandono in Dio, oda la sua voce e se ne faccia pascolo. Nel gioioso sacrificio giornaliero, nel compimento dei suoi doveri, nella unione pacifica con Dio, si troverà di Dio, finché Dio non la farà più sua” (9.12.1910).
P. Rossetto svilupperà e chiarirà progressivamente il tema della riparazione e dell’immolazione con Gesù nell’Eucaristia, approfondendo la partecipazione al sacerdozio di Cristo e parlando della “Messa nella vita e della vita vissuta come una Messa”.
A Venezia, cominciano anche ad affiorare espressioni che sottolineano la fiducia e l’abbandono in Dio, forma esigente e quotidiana di povertà evangelica. Ne troviamo conferma soprattutto nella corrispondenza epistolare; varie espressioni sono indice e preludio di un cammino verso l’amore e la devozione al Padre, che caratterizzerà tutta la vocazione personale di P. Gioachino. Scrive ad un’altra sua figlia spirituale:
“Non ho mai trovato una parola che comprenda più e meglio tutto l’intenso lavorio della vita spirituale quanto questa: totale abbandono in Dio onnipotente. In essa c’è la certezza di una speranza che si fonda nella sua paterna sollecitudine, c’è amore filiale di confidenza, c’è tutto lo spogliamento del nostro io per vivere in Dio” (1911).
Nel settembre del 1911 l’attenzione di P. Gioachino viene repentinamente indirizzata verso un nuovo interesse: le missioni. Nasce in lui quello spirito missionario che porterà sempre nel cuore, come anelito a consumarsi totalmente del disegno d’amore del Padre. Tuttavia, all’inizio del 1912 viene trasferito a SALUZZO, in Piemonte, al convento dove ha fatto il noviziato, con l’incarico di “maestro” dei giovani frati studenti. Il suo stato d’animo è di grande responsabilità, come lui stesso scrive:
“Vorrei poter dire alla mamma che aveva proprio ragione quando, pur sorridendo, diceva che mi hanno eletto a questo ufficio perché, essendo costretto a dar l’esempio, diventassi più buono io! Questi giovani guardano a me: non occorre che parli: come io vivo, così essi vvono! E’ grande queta responsabilità” (1912)
La sua attenzione si rivolge ad una formazione religiosa, e soprattutto sacerdotale, indirizzata a scoprire e servire i disegni di Dio attraverso una piena consacrazione, a penetrare nelle realtà del mondo per vederne i limiti e santificarne i valori, secondo le verità della fede. Scrive ai giovani di cui è “maestro”:
“Quale gloria maggiore che cooperare con Dio, oltre che per la salvezza e santificazione delle anime nostre, anche per quella di molte altre? Che bello perpetuare sulla terra Gesù Cristo stesso e continuare la sua opera redentrice! … Siate generosi, di cuore largo, sempre pronti a tutto, imparate ad estendere il vostro cuore e i vostri desideri a cose sempre maggiori. Non siate timidi, ma larghi, larghi, e generosi. Gesù Cristo e la Vergine Madre vi dicano come bisogna amare, e quanto bisogna dare quando si ama davvero” (12.12.1912).
Immolazione e riparazione sono i due poli attorno a cui s’impernia sia l’accompagnamento spirituale che il poco ministero pastorale che esercita, mentre il suo cammino interiore lo porta ad immergersi in un vivere costante come totale compimento della volontà di Dio. Il delinearsi dell’abbandono in Dio diviene un valore pregnante nella sua spiritualità, sempre sotto l’influsso dell’esperienza di vita di Margherita Maria Alacoque, come egli stesso ricorda:
“Mentre leggevo la vita di S. Margherita Alacoque, mi pareva che ella dicesse al mio cuore: –
Affidati, affidati a Dio! Dio ti ama, ci ama, anch’io in paradiso ti aiuterò, buttati. Qualunque cosa avvenga di te, è sempre la Provvidenza che lo dispone! – E mi pare che ho accettata l’ispirazione di colei che ho sempre venerata e venero come mia Sorella” (1933).
Dopo appena sette mesi di permanenza a Saluzzo, nel settembre 1912 viene chiamato a Roma: tutto sembra indirizzato verso la preparazione della nuova missione, che da tempo sta maturando nell’Ordine.
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