Nov 162024
 

MANI UNITE

E

PIEDI NUDI

Occhi alti, mani unite, piedi nudi. Cioè lo sguardo allungato sulla paternità misericordiosa di Dio, Padre che perdona l’uomo e lo ama alla follia malgrado la sofferenza patita da Suo Figlio. E poi preghiera incessante per cercare senza stancarsi mai la volontà del Signore. E passo di pellegrino, che pur nella sua ricerca d’infinito, anzi proprio perché impegnato in quel cammino, non esita a fermarsi davanti alle sofferenze del mondo.

Mai come oggi il Papa si è affidato alla profondità in qualche modo mistica della poesia, per raccontare il suo modello di servizio alla Chiesa. La lettera, brevissima, inviata ai 21 prossimi nuovi cardinali, è infatti una fotografia, per certi versi un selfie, della comunità credente sognata da Francesco, dove il titolo di “servo” deve «offuscare sempre più quello di eminenza». Chiesa povera per i poveri, come disse a inizio pontificato, sull’esempio di quel patto delle catacombe firmato, pochi giorni prima della chiusura del Vaticano II, da una quarantina di padri conciliari, che si impegnavano a vivere in sobrietà, come la gente comune, rifiutando nomi e titoli che significano grandezza, come “eminenza, eccellenza, monsignore”. Non usciranno príncipi della Chiesa dal Concistoro del prossimo 7 dicembre, sembra voler dire il Papa nel suo breve nuovo scritto, ma umili servitori del Vangelo, consapevoli di dover affrontare in piena comunione con il Pontefice le grandi sfide portate da una società sempre più secolarizzata e sempre meno cristiana. Il modello cui ispirarsi è san Giovanni della Croce che nella sua “Salita al Monte Carmelo” scrive che «per giungere a possedere tutto» bisogna «non voler possedere niente», che «per giungere a essere tutto» occorre «non volere che essere niente». Non a caso guarda proprio al santo spagnolo del XVI secolo, al “doctor mysticus”, il poeta argentino Francisco Luis Bernárdez (1900-1978) nella descrizione presa a prestito da Francesco per definire le attitudini richieste ai nuovi cardinali, sull’esempio però della testimonianza di chi ha ricevuto la porpora prima di loro. L’errore più grande sarebbe infatti quello di considerare la berretta e l’anello cardinalizio un premio ai propri meriti e non il riconoscimento della necessaria fedeltà a Cristo con l’invito sempre più pressante a svuotarsi di sé stessi per lasciare posto alla volontà di chi ci assicura di amarci più di ogni altro. Nessuno, infatti, nella Chiesa porta sé stesso, neppure i santi o i Papi, ma tutti, personalmente e in modo comunitario, hanno come unico compito quello di accompagnare l’uomo verso Dio. Ben venga allora il richiamo all’unità della Chiesa e al legame delle comunità tutte con quella di Roma. Ben venga l’invito a guardare sempre più lontano, senza per questo dimenticare il valore della memoria. Una “ricchezza” spirituale che lo stesso Bernández indicava in altri versi citati da papa Francesco qualche anno fa, nel 2020, in occasione della festa dei nonni: «dopo tutto ho compreso che ciò che l’albero ha di fiorito vive di ciò che ha sepolto». Come a dire che il nutrimento passa dalle radici e che quasi sempre la parte più vera di noi si vede solo con gli occhi del cuore, gli unici capaci di scavarti dentro fino a raggiungere le ferite più nascoste, le parole che fatichi a pronunciare, le lacrime rimaste strozzate in gola. Certo, sono espressione dell’universalità della Chiesa i 21 cardinali che saranno creati da Francesco il 7 dicembre ma prima ancora devono essere testimonianza viva di quel Vangelo che innalza chi si fa piccolo, che rende forti, nella carità e nel servizio, i deboli. Riconoscerli non è difficile, anzi è facilissimo: hanno gli occhi alti, le mani unite e i piedi nudi.

Da Avvenire, di R. Maccioni

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