L’apparizione di Gesù ai discepoli e a Tommaso diventa, nel vangelo, modello di un aprirsi ad una visione della vita dal respiro e dagli orizzonti più vasti. Colui che è uscito dall’angustia della morte può ora attraversare tutte le situazioni della vita e porsi al centro di ogni comunità come punto di riferimento per chi si sente chiuso o braccato dal mondo. Nella prima lettura ci è descritta la dimensione comunitaria della vita della prima chiesa, quale modello di comunità che, lasciandosi guidare dallo Spirito, agisce con coraggio, testimoniando nel concreto la misericordia sperimentata. Allo stesso modo la seconda lettura attesta la centralità del Risorto: il Cristo è presente nella vita dei credenti quale punto di forza per trasformare, attraverso la loro fede, anche la storia delle loro relazioni.
Chi è il personaggio centrale in questa pagina del vangelo? Gesù o Tommaso? E’ logico rispondere: Gesù; ma noi forse ci siamo soffermati su Tommaso, l’apostolo che non crede ai suoi amici.
Di Tommaso sono riportate due frasi. La prima sono sicuro che la ricordiamo tutti, è diventata quasi un proverbio: non credo se non vedo e non tocco. Ma ricordate la seconda frase? E’ più importante della prima, perché la prima è di passaggio mentre la seconda è il punto d’arrivo, e dovrebbe portarci a pensare a Tommaso non come l’apostolo incredulo ma come l’apostolo che ha, sì, dubitato, ma poi crede fortemente in Gesù ed esprime la sua fede con poche ma significative parole d’amore.
“Mio Signore e mio Dio!” – esclama. “Mio Dio” è un atto di fede; “mio Signore” è un atto d’amore perché significa: io appartengo a te! tu sei il mio Signore, io ti appartengo!
Diciamo allora: benvenuta la testarda incredulità di Tommaso, che così dà più forza alla sua successiva testimonianza. E da lui dobbiamo imparare non l’incredulità, ma il desiderio di capire che cosa crediamo e di motivare il nostro atto di fede e di amore verso Gesù, nostro Dio e nostro Signore.
Il personaggio più importante però, lo abbiamo già detto, non è Tommaso, è Gesù. Su di lui va posta l’attenzione; su di lui che apparendo agli apostoli augura e dona la pace: “pace a voi” – cioè comunica quella serenità interiore che anticipa la vita eterna, che dà un assaggio della gioia del paradiso.
Poi ancora su Gesù che affida agli apostoli una missione: “io vi mando…” – dice, e il risultato dovrà essere il perdono dei peccati: “a chi li rimetterete saranno rimessi”. Il perdono non consiste nel fatto che Dio dica: non ti castigo per quello che hai fatto – ma comporta un rinnovato rapporto di amicizia con Dio: il nostro amore filiale si incontra con il suo amore paterno.
E tutto questo, cioè la pace e l’amicizia con Dio, è opera dello Spirito santo che Gesù effonde sugli apostoli, sulla chiesa tutta, su di noi: “Ricevete lo Spirito santo”. Lo abbiamo ricevuto in particolare nel battesimo e nella cresima, ma egli agisce sempre in noi con la sua grazia. Ricordiamoci di invocarlo, lo Spirito santo.
L’evangelista conclude il racconto dicendo: queste cose sono state scritte “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e credendo abbiate la vita”. Quali cose? le apparizioni del Signore, certo, e le sue parole, ma anche i dubbi di Tommaso, e in particolare la trasformazione avvenuta in tutti gli apostoli. Trasformazione da paurosi e timidi (avevano addirittura sbarrato le porte, per la paura) a coraggiosi predicatori del vangelo.
Vogliamo portarci via qualche cosa di bello da questa pagina del vangelo? Portiamola via tutta, perché è tutta meritevole di essere assimilata – ma suggerisco di fare nostra in modo particolare la professione di fede dell’apostolo Tommaso, rivolta a Gesù Risorto e Vivente; invochiamolo anche noi con convinzione e commozione: “Mio Signore e mio Dio!”.
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