CI AIUATI
A FERMARE
IL MASSACRO
«Scioccati» dal feroce attacco perpetrato da Hamas il 7 ottobre. E «sconvolti» dalla risposta del governo di Benjamin Netanyahu il quale « pur di restare al potere, ha iniziato un’azione militare in cui sono rimasti uccisi oltre 28mila palestinesi e molti soldati israeliani, mentre a tutt’oggi non ha un piano per uscire dalla guerra e la sorte della maggior parte degli ostaggi è ancora incerta».
Così si sente un gruppo di ebree e ebrei italiani – dal giornalista Gad Lerner al pittore Stefano Levi Della Torre al fisico Alessandro Treves all’autrice Joan Haim – che, al termine di una riflessione comune avviata dalla Giornata della memoria, ha preso carta e penna per invocare la pace. « I massacri di civili perpetrati a Gaza dall’esercito israeliano sono sicuramente crimini di guerra: sono inaccettabili e ci fanno inorridire. Si può ragionare per ore sul significato della parola “genocidio”, ma non sembra che questo dibattito serva a interrompere il massacro in corso e la sofferenza di tutte le vittime, compresi gli ostaggi e le loro famiglie», si legge nella lettera aperta (la versione integrale con le firme dei sottoscrittori è disponibile sul sito www.avvenire.it). Una presa di posizione forte e decisamente controcorrente nel clima di polarizzazione dominante. «Una parte della popolazione israeliana e molti ebrei della diaspora non riescano a cogliere la drammaticità del presente e le sue conseguenze per il futuro» anche perché il Paese «secondo quanto ci dicono voci critiche, è attraversato da una sorta di guerra tra tribù – ebrei ultraortodossi, laici, coloni – in cui ognuno tira l’acqua al proprio mulino senza nessuna idea di progetto condiviso». Quanto accade in Israele, però – sostengono i firmatari, tra cui si trovano artisti, intellettuali, scienziati – «ci riguarda personalmente: per la presenza di parenti o amici, per il significato storico dello Stato di Israele nato dopo la Shoah». Da qui la determinazione a « non restare in silenzio».
Tanto da confessare il disagio sofferto nell’ultima Giornata della memoria, «una scadenza particolarmente difficile e dolorosa da affrontare: a cosa serve oggi la memoria se non aiuta a fermare la produzione di morte a Gaza e in Cisgiordania? Se e quando alimenta una narrazione vittimistica che serve a legittimare e normalizzare crimini?». Il gruppo non nega la presenza, in Italia e nel mondo» di un antisemitismo strisciante, sempre più palpabile e diffuso.
« Ne sentiamo l’atmosfera e l’odore in questi mesi soprattutto dal 7 ottobre, quando abbiamo visto incrinarsi i rapporti, anche personali, con parte della sinistra. Ma ci sembra urgente spezzare un circolo vizioso: aver subito un genocidio non fornisce nessun vaccino capace di renderci esenti da sentimenti d’indifferenza verso il dolore degli altri, di disumanizzazione e violenza sui più deboli». L’unica possibilità di combattere il crescente odio anti-ebraico è allora « provare a interrogarci nel profondo per aprire un dialogo di pace costruendo ponti anche tra posizioni che sembrano distanti». I firmatari si sentono in disaccordo con le indicazioni dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane per la Giornata della memoria: non ogni critica alle politiche di Israele può ricadere «sotto la definizione di antisemitismo. Sappiamo bene che cosa sia l’antisemitismo e non ne tolleriamo l’uso strumentale. Vogliamo preservare il nostro essere umani e l’universalismo che convive con il nostro essere ebree ed ebrei». La lettera si conclude con una proposta e un impegno: stare vicini a chi soffre, «soffre provando a pensare e sentire insieme».
Lucia Capuzzi, Avvenire 13/02/2024
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