INVECCHIIARE
NON E’ MAI
UNA SENTENZA
La Legge delega – la legge 33 – sulla vecchiaia apre a una diversa concezione della terza età, strappandola a tanti pregiudizi. Tra poche settimane ne inizia la sperimentazione. E mi auguro sia l’inizio di una nuova attenzione alla vecchiaia.
C’è però un punto – che non riguarda immediatamente la legge – sul quale credo sia importante porre l’attenzione: l’effetto dirompente del pensionamento di massa seguito all’analogo fenomeno della vecchiaia di massa. È una questione complessa, lo so bene. Dobbiamo comunque chiederci: come trascorrere questi anni? C’è da dire che la felice formula “invecchiamento attivo” offre già una indicazione per cercare di rimanere in buona salute il più possibile.
L’Organizzazione mondiale della Sanità specifica che, nel contesto dell’invecchiamento, «la parola “attivo” si riferisce alla continua partecipazione negli aspetti sociali, economici, culturali, spirituali e civici, non solo alla capacità di essere fisicamente attivi». Non si tratta di fare corsette o risolvere cruciverba, ma di non essere estromessi dai circuiti vitali della società. Questa è la vera sfida! Una parte importante degli anziani è impegnata all’interno della vita delle rispettive famiglie. Federanziani quantifica questo genere di attività in 38,3 miliardi (è la cifra che ogni anno i 12 milioni di nonni “donano” ai propri figli e nipoti). C’è però il problema di chi non ha famiglia, ossia dei milioni di anziani che vivono soli e per i quali la fine del lavoro significa anche la loro estromissione dall’unico tessuto sociale nel quale sono inseriti. La solitudine è certamente uno dei lati oscuri della vecchiaia per tantissimi over 65: è la vera negazione di ogni forma di partecipazione, che è potente fattore di rischio per malattie cardiovascolari, demenze, fragilità e non autosufficienza.
La solitudine è il principio del declino vero, quello della irrilevanza affettiva, umana, sociale e politica di chi resta solo. È per costoro che il pensionamento senza alternative rischia di essere una grande “condanna al nulla” per ben 30 anni. L’anziano invece ha diritto a partecipare e accedere agli strumenti fondamentali che una società moderna deve mettere a disposizione di tutti per la crescita culturale, l’apprendistato, il lavoro. Deve essere una opzione che va offerta a tutti, lasciando ognuno libero di recepirla e utilizzarla nei modi che meglio crede. Si dirà: ma così faranno concorrenza ai giovani per il lavoro che non c’è, già oggi, per tutti. Nulla di più falso, si tratta di un antico pregiudizio, una idea malthusiana e semplificata della economia per cui uno accede al mercato del lavoro se uno lo lascia. Pensiamo solo a come la transizione demografica stia stravolgendo questa idea: se da una parte l’invecchiamento della popolazione crea un grande problema di sostenibilità del sistema pensionistico, dall’altra il declino associato al bilancio negativo tra nascite e decessi riduce obiettivamente il mercato del lavoro. Negli ultimi 5 anni la popolazione italiana in età da lavoro si è ridotta di ben 756.000 persone, dato compensato solo in parte dalla immigrazione (e meno male che l’abbiamo avuta…). Quasi un milione in meno di potenziali giovani lavoratori!
Con il contrarsi della offerta sul mercato del lavoro, si sono creati inevitabili problemi sul versante della domanda. In Italia il fenomeno del mismatch (la discrepanza o incompatibilità tra le competenze offerte dai lavoratori e quelle richieste dai datori di lavoro) è rilevante e denuncia la carenza dei sistemi di formazione. Non mi addentro nell’argomento ma sottolineo l’importanza di fattori diversi nella dinamica della creazione di posti di lavoro: bastasse andare in pensione! L’effetto congiunto di invecchiamento e declino ci porta fatalmente verso una quota dell’indice di dipendenza strutturale per popolazione anziana (ovvero in età pensionistica) di molto superiore al 50%, valore insostenibile per qualunque welfare.
Sì, c’è bisogno di lavoro dopo la pensione: liberamente scelto, tutelato e protetto, espressione di inclusione e partecipazione, fattore di vita e salute ma anche di stabilità e prosperità economica. Non abbiamo tutte le risposte su come riempire i 30 anni in più che abbiamo. Ma tenere insieme nella stessa barca nonni e nipoti, lavoratori giovani e anziani, senza lasciare indietro nessuno, rappresenta una prospettiva entusiasmante di vita civile. Diremo ai giovani che la vecchiaia non è la fine di tutto ma una stagione ancora ricca di futuro e di partecipazione, per il bene dell’intera società.
Mons. Vincenzo Paglia Arcivescovo Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, Avvenire 21/06/2024
Sorry, the comment form is closed at this time.