Giu 152024
 

Recentemente, in un editoriale gli autori, ricordavano che la vera sfida educativa consiste nel rispondere alla loro ricerca di senso e di guide; che la solitudine da essi vissuta, più che una colpa da addebitare loro, chiama in causa la responsabilità degli adulti.

Si può forse dissentire da questa analisi? Ma come risvegliare in noi adulti “boomer” tale consapevolezza? Si tratta, anzitutto, di “darci una mossa”, superando quegli atteggiamenti nei confronti dei giovani che oscillano dal giudizio sferzante alla compiacenza, dall’indolenza fuggiasca all’aggressività intollerante, dall’esserne succubi alla competizione invadente e talvolta disonesta.

Non si può negare, però, la presenza in taluni giovani di un atteggiamento di accidia e di chiusura quasi autistica; è necessario prendere atto che nella “galassia giovani” c’è chi vive all’interno del proprio mondo, infatuato dal piacere a tutti i costi,  da una libertà senza responsabilità, da un rifiuto di crescere e poca voglia di compromettersi con gli altri e per gli altri in maniera vera, profonda. Ricordiamo, con stupore e gratitudine, gli “angeli del fango” accorsi da ogni dove, in occasione delle alluvioni in Emilia Romagna, come i tanti giovani volontari esemplari nella dedizione verso i fragili, ma non possiamo disconoscere – senza, però, giudicare – che alcuni, come dice il Papa, stanno seduti “comodamente” sul divano, pronti a spremere la vita finché c’è da goderne a pelle, mentre questa scivola loro addosso; e non ne vogliono sapere del prossimo, soprattutto di chi sta più indietro.

Non possiamo sottrarci a nessuna di queste sfide. Né a quella di chi cerca ascolto, guida e senso, restando spesso a bocca asciutta, né a quella chi si dimena in un “attimo fuggente” dal corto respiro, mentre avrebbe bisogno di adulti meno afoni, anzi, capaci di gridare parole nutrienti per menti svuotate e quindi manipolabili.

Che razza di adulti siamo o stiamo diventando se non ci mettiamo in gioco di fronte a tali sfide con coerenza e concretezza? In quanto credenti, poi,  come esimerci dal provocare nei giovani anche la ricerca di Dio e del suo sogno su ciascuno di essi?

Se non vogliamo continuare ad imbrogliarli, soddisfacendo le aspettative dell’effimero – successo, denaro, divertimento (Papa Francesco) – la nostra vocazione è di essere “rompiscatole”, come raffigurato nella simpatica ed eloquente scena della prima ora di religione tenuta da don Pino Puglisi, nell’interpretazione di Luca Zingaretti. “Rompiscatole”, con umile fierezza, anziché «adulti impreparati e immaturi che tendono ad agire in modo possessivo e manipolatorio, creando dipendenze negative, forti disagi e gravi contro-testimonianze» (cfr. Documento preparatorio del Sinodo dei giovani).

Non ci spaventino le nostre fragilità e incoerenze, perché i giovani fiutano subito l’autenticità e sanno apprezzare il riconoscimento dei nostri sbagli e peccati; non ci vogliono perfetti, ma nemmeno incapaci di confronti serrati e spigolosi, come esige una vita che non sia di plastica.

Allora, proviamoci ancora a diventare adulti di riferimento, camminando accanto ai giovani e provocandoli fino a sfiancarli, affinché siano protagonisti attivi e ribelli alle “comfort zone” della vita; fornendo supporto e attrezzi a chi desidera imparare pure dagli errori.

Proviamo a diventare adulti cui i giovani possano guardare di nuovo con curiosità, perché sappiamo scommettere in anticipo sulla loro capacità di migliorare il mondo e di aiutare anche la Chiesa a diventare più evangelica.

Diamo sempre un anticipo di fiducia, ma non facciamo sconti e, soprattutto, esercitiamo con rispetto e passione il diritto e il dovere di essere con loro dei “rompiscatole” a sufficienza.

Lello Ponticelli, sacerdote e psicologo Avvenire 11/05/2024

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