Giu 032024
 

che

guiderà

i pellegrini

Ecco la virtù teologale che guiderà i pellegrini

Charles Péguy diceva che la speranza, fra le tre virtù teologali, è quella più piccola. Una bambina, mentre le due sorelle maggiori, la fede e la carità, sono già donne. E chi le vede avanzare pensa che siano loro a portare lei per mano. Mentre in realtà succede il contrario. «Ciechi che sono a non veder invece/ che è lei al centro a spinger le due sorelle maggiori. / E che senza di lei loro non sarebbero nulla».

Mentre prosegue il conto alla rovescia verso l’apertura della Porta Santa (siamo o ormai a sette mesi dal 24 dicembre), rileggere questi versi del poeta francese può irrobustire la preparazione spirituale all’evento. Tra le parole del Giubileo del 2025, infatti, la parola speranza occupa il posto guida, dal momento che il tema dell’Anno Santo è “Pellegrini di Speranza” e che anche la Bolla di indizione (Spes non confundit) la assume come incipit. Sì, la Speranza cristiana non delude, perché non è semplice ottimismo o fiducia terrena,   ma Cristo stesso, morto e risorto, dunque vittorioso su tutto quello che nella vita del mondo si oppone ad essa.

Per una bella coincidenza, in questo mese di maggio il Pontefice, oltre che nella Bolla, ha parlato della speranza anche nella catechesi dello scorso 8 maggio. «La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo», ha detto Francesco citando la definizione del Catechismo. E ha poi aggiunto che «la speranza è una virtù contro cui pecchiamo spesso: nelle nostre cattive nostalgie, nelle nostre malinconie, quando pensiamo che le felicità del passato siano sepolte per sempre», oppure quando ci abbattiamo per i nostri peccati e dimentichiamo che la misericordia di Dio è infinita. Il mondo, quindi, oggi ha bisogno della speranza forse più che del pane, si potrebbe dire spingendo alle estreme conseguenze l’insegnamento del Papa. E perciò in uno scenario di terza guerra mondiale a pezzi, di cambiamenti climatici, di grandi migrazioni, di squilibri crescenti tra ricchi e poveri e di crisi morale e antropologica (tutti scenari che non inducono all’ottimismo) il Giubileo che ci invita a diventare “pellegrini di speranza” giunge al momento giusto. Un evento provvidenziale, per spargere la speranza a macchia d’olio. Partendo dal pianerottolo di casa, dove spesso incrociamo esistenze spente e rassegnate, passando per i giovani che hanno paura del futuro, per le coppie che si sfaldano, per chi finisce preda della cultura della morte, fino ad arrivare alle situazioni di conflitto e di povertà che sembrano l’emblema stesso della disperazione. Speranza che è al tempo stesso certezza. Perché, come ricordava il Papa nella sua catechesi, «il Signore è vicino a noi, è mai la morte sarà vittoriosa».                                                                                    

                                    Romina Gobbo, Avvenire

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