Apr 262024
 

DI UNA

RIVOLUZIONE

DI LUCE

E VERITA’

La vita è un dono. Per renderlo tale, però, bisognerebbe forse intenderci su come la vita meriterebbe d’essere vissuta. Per salire in Cielo e mai più tornare a ripetere gli infiniti percorsi d’ogni fisica quantistica, se è vero che “il mondo finirà quando tutti avremo vissuto la vita di tutti”. E, poiché è Pasqua, per noi cristiani è Gesù ad insegnarci che “la vita è un piacere che non passa mai, la vita è un dolore che non passa mai, finché non passa la vita”.

Ce lo insegna poiché Gesù è certamente l’eroe, il protagonista unico e inimitabile, di una rivoluzione di luce e verità inconsce, consce e senza fine. E, ancora, ce lo insegna sin dalla sua nascita, sin da quel primo parto assistito d’ogni storia spirituale, laddove nella stalla Maria lo partorisce e Giuseppe è con lei a vigila-re sulla madre e sul bambino, assistito anche dal calore animale di un bue e di un asinello. E, infine, ce lo insegna sin da quel suo primo divino vagito che rende divino ogni bambino venuto al mondo.

A rendergli omaggio ci sono tutti: gli umili come i Magi, potenti maghi d’oriente, gli abitanti della terra e le stelle del cielo, la cometa in primis. Ma, pure, alla nascita di Gesù si accompagna la violenza dei depravati signori del potere che, per impedirgli di salvare il mondo, mettono in atto la strage degli Innocenti. Poiché il Bene assoluto ha come nemico l’assoluto Male, che mai rispetta né ama la vita.

Poi Gesù cresce e da bambino, come tutti i bambini, si esprime con le parole dell’intuizione e dell’impeto, per contestare le ipocrisie dei cattivi maestri del Tempio. E quella sua poetica rivoluzione – poiché “poeta” dal greco è “colui che fa” – diventa la salvifica energia dei suoi miracoli, che, per guarire le malattie del corpo, sa attivare le potenzialità dell’anima. Moltiplicatore del Bene (del pane e dei pesci per tutti), Gesù raccoglie intorno a sé discepoli e seguaci che accolgono la sua sfida lanciata contro la violenza, anzitutto in difesa delle donne e a tutela dei piccoli, dei poveri, degli ammalati. La gente gli si affida, lo segue, lo acclama, si identifica in lui: niente di più pericoloso per gli infami impotenti che radicano il proprio potere sulla paura, sullo sfruttamento, sulle guerre, sulla morte. Gesù sa che saranno proprio costoro ad armare 

la mano e ottenebrare la mente di chi, tra i suoi discepoli, lo tradirà. Anche se poi quel Giuda, con i trenta denari ricevuti per tradirlo, altro non potrà comprare che la corda per impiccarsi.

Così, dopo il trionfo della Domenica delle Palme, il suo itinere sarà quello di aspettare e affrontare il martirio. Un sacrificio necessario per battere con l’amore l’odio di chi – come Ponzio Pilato che si lava le mani – manipola la mutevolezza delle folle per decidere chi debba essere giustiziato: o il rivoluzionario predicatore che afferma «a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio» e «chi è senza peccato scagli la prima pietra» e ancora «guai a chi di voi scandalizzerà uno solo di questi bambini», o invece il ladro assassino Barabba. Quelle folle, obnubilate dal potere, sceglieranno di salvare Barabba, poiché da sempre è quello che fanno tutte le folle obnubilate del mondo, delegando ogni sorta di orrore a chi le governa.

Ed è per questo che Gesù, dopo il doloroso percorso con la sua croce sulle spalle, a quella croce verrà inchiodato e poi esposto fino alla morte, con ai lati due ladri: più chiara, provocatoria e metaforica rappresentazione di come va il mondo non potrebbe esserci. Così la vittima innocente, a testimonianza di tutte le vittime innocenti che vengono sacrificate ai loschi giochi del narcisistico potere maligno, muore. E non a caso tra due ladroni.

Uno di loro in extremis si pente, affidandosi al miracolo dell’amore. Al contrario il centurione, degno rappresentante dell’osceno potere che muove ogni impero, crede opportuno aggravare il dolore già atroce di quella morte colpendo Gesù al costato e dandogli aceto al posto dell’acqua, a voler ulteriormente violare e inasprire il suo ultimo respiro. Alla fine, sotto la croce ci sono solo donne, con un adolescente: la madre Maria, le pie donne e Giovanni, per il quale «solo la verità può rendere liberi», colui che al futuro dei giovani presto dedicherà il suo Vangelo.

Gli apostoli invece si sono nascosti, fuggiti nel timore di essere perseguitati e uccisi. E anche questo è un chiaro segnale che indica a chi deve e dovrà, può e potrà, essere affidato quel futuro nel Bene, che il mondo aspetta da miliardi di anni: alle donne, ai bambini, ai giovani.

Ma se il finale sembra essere tragico, così non è. Il terzo giorno, infatti, Gesù risorge, corpo e anima insieme, sconfigge la morte, radice di tutte le angosce umane, e sale al Cielo. Ciascuno di noi, allora, che creda o non creda, potrebbe – se vuole – celebrare la Pasqua, pensando al piacere assoluto della Resurrezione. Poiché – ed è questa la Fede che mi guida da sempre – «la vita è un’eco», come sostiene Madre Teresa di Calcutta, «e quello che fai torna». Ed è nella compassione e nel Bene che torna. Allora, buona Pasqua a tutti. Ma soprattutto ai nemici,       Maria Rita Parsi Avvenire 30 marzo 2024

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