Caro direttore, ogni giorno mi corico e mi risveglio con questa domanda: avrò fatto la mia parte fino in fondo? Rispetto ai colleghi in trincea negli ospedali, stravolti dal lavoro incessante ed esposti a un rischio elevato, io medico che lavoro sul territorio sto presidiando con efficacia la situazione? A ben vedere la domanda sulla propria identità, in scienza e coscienza, è già dentro la professione medica, ma oggi viene acuita e provocata dalla pandemia che stiamo vivendo. Circa 1.700 assistiti col Servizio sanitario, oltre a una quota variabile di privati, conoscenti e amici seguiti attraverso l’attività specialistica e di ricovero in una clinica privata. Quasi 2mila persone che mi stanno a cuore, che mi chiedono incessantemente lumi, consigli, rassicurazioni cliniche e al contempo umane. Due cellulari attivi h24, email, visite domiciliari, video-consulti: benedette le innovazioni tecnologiche, ben venga la telemedicina… Il 98% della patologia dominante è simil-influenzale: una miriade di casi, protratti o nuovi, che maledettamente non guariscono, i sintomi delle complicanze in agguato e difficili da valutare con obiettività, la presunzione che quasi tutti siano positivi al virus, anche se il tampone non si può fare. Rari casi gravi in ospedale per ora (a mia conoscenza), ma bastano per stare in angoscia. Leggi tutto »
Ma oggi riconosciamo eroi quelli che salvano
Il concetto di “eroe” non è più quello che ci hanno insegnato a scuola e che trovavamo nei libri di storia. Adesso, nei tg e sui giornali, vediamo definiti eroi operatori nel campo della medicina, degli ospedali, delle scuole, delle missioni, che svolgono la loro opera perché non possono farne a meno, è un’attività a cui si sentono legati perché salva. Essere eroe ha a che fare col salvare, col voler salvare a tutti i costi, anche di ammalarsi, anche di morire.Pesco dal giornale questa frase del presidente Mattarella: «Il nostro pensiero grato e riconoscente va alle infermiere e agli infermieri in prima linea, e con loro a tutti i medici degli ospedali e dei servizi territoriali, agli assistenti, ai ricercatori, a quanti operano nei servizi ausiliari: li abbiamo visti lavorare fino allo stremo delle forze per salvare vite umane e molti di loro hanno pagato con la vita il servizio prestato ai malati». Leggi tutto »
Ma oggi consideriamo eroi quelli che ci salvano
Il concetto di “eroe” non è più quello che ci hanno insegnato a scuola e che trovavamo nei libri di storia. Adesso, nei Tg e sui giornali, vediamo definiti eroi operatori nel campo della medicina, degli ospedali, delle scuole, delle missioni, che svolgono la loro opera perché non possono farne a meno, è un’attività a cui si sentono legati perché salva. Essere eroe ha a che fare col salvare, col voler salvare a tutti i costi, anche di ammalarsi, anche di morire. Pesco dal giornale questa frase del presidente Mattarella: «Il nostro pensiero grato e riconoscente va alle infermiere e agli infermieri in prima linea, e con loro a tutti i medici degli ospedali e dei servizi territoriali, agli assistenti, ai ricercatori, a quanti operano nei servizi ausiliari: li abbiamo visti lavorare fino allo stremo delle forze per salvare vite umane e molti di loro hanno pagato con la vita il servizio prestato ai malati». Sono medici-eroi, infermieri-eroi. Una volta il termine eroe non si usava in questa accezione, lo si usava in campo militare e indicava colui che compiva operazioni rischiose contro un nemico, lo sfidava, lo colpiva, se poteva lo colpiva a morte, e ritornava vivo tra noi. Ma non era necessario che tornasse: per essere eroe bastava compiere un’azione coraggiosa, mostrare sprezzo del pericolo, eseguire un ordine anche se poteva costare la vita. Leggi tutto »
La riscoperta di una forza che può dare molti frutti
Mentre l’aggettivo “virale” – usato e abusato a proposito della circolazione repentina e globale di contenuti sulle piattaforme social – sta mostrando tutta la sua drammatica concretezza, in tempo di emergenza coronavirus il cosiddetto “virtuale” ci mette di fronte a tutta la sua innegabile realtà, e anche alla sua faccia migliore. Vedersi e passare del tempo insieme stando ciascuno a casa propria, far circolare velocemente le disposizioni per ridurre il rischio di contagio, immaginare nuovi modi di didattica e accompagnamento a distanza degli studenti di tutte le età, organizzare gesti di sostegno per le persone sole, animare le città deserte con flash mob dove sentirsi insieme nonostante tutto e cantare la forza della vita, mentre i bambini sorridenti postano arcobaleni, con l’augurio che “tutto andrà bene”… Leggi tutto »
La regola della prudenza e il rispetto della verità
Sono bastate poche parole – una preghiera rivolta al Signore – che Papa Francesco ha pronunciato durante la Messa celebrata lunedì 27 aprile, per mettere in moto ”opinionisti” di ogni genere e di granitiche certezze. “In questo tempo nel quale si comincia ad avere disposizione per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni”. Qualcuno ne è sicuro e lo proclama anche con fare retorico, Francesco non la pensa come i suoi fratelli vescovi italiani. Incredibile. Quando mai i vescovi italiani hanno spinto i fedeli a non rispettare le regole della prudenza e incitato all’irresponsabilità? Un certo modo di argomentare e di banalizzare appare inconcepibile, e ancor più davanti a una situazione drammaticamente complessa, che ha bisogno del contributo di tutti, anche di chi fa informazione e spende libere opinioni.
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