La venuta del Signore è presentata dal Vangelo come compimento e liberazione. Questo futuro di speranza, però, impegna ogni cristiano autentico nel collaborare a vivificare il presente attraverso la sua personale e comunitaria testimonianza. Al centro di questo dinamismo, infatti, la chiesa ha un ruolo essenziale, in quanto popolo di Dio e corpo di Cristo. Di giudizio ci parla la prima lettura: una prospettiva reale, legata al “sole di giustizia” che sorgerà per noi, e che perciò non va vissuta come motivo di spavento, ma come stimolo a prendere sul serio la vita davanti a Dio. Pari serietà è raccomandata da Paolo nella seconda lettura: una serietà di vita che si esprime anche nell’onesto lavoro. Paolo insegna, a partire dal suo esempio, che il cristiano non può perdere nell’ozio inutile e dissipante il tempo che Dio gli offre, ma è chiamato a impegnare le proprie capacità per l’utilità di tutti. Leggi tutto »
XXXII^ domenica Tempo ordinario
L’affermazione di Gesù nel Vangelo, secondo la quale Dio non è un Dio dei morti ma dei vivi, non è fondata su argomentazioni scientifiche, ma sulla logica della fede: è la relazione con Dio che fonda la speranza che egli non ci abbandoni nella morte. Questa convinzione deve trasfigurare anche la nostra vita, rendendola sempre più vitale, più animata dallo Spirito del Dio vivente. La certezza che Dio ha il potere di rimetterci in piedi, di risuscitarci a vita nuova, ci viene proclamata anche nella prima lettura: ogni forma di morte, di cui possiamo fare esperienza nella quotidianità, può essere vinta nella fede sincera in Dio e nella speranza che egli può darci la forza per una speranza di senso e di pienezza oltre la paura del nulla. La stessa fede filtra dalle parole di Paolo, nella seconda lettura: il cristiano è convinto che non può arrivare da solo alla salvezza, essa è piuttosto dono di un Dio fedele verso chi a lui si affida. Non i nostri meriti, ma la grazia di Dio è la nostra garanzia
Tutti i Santi
Nel Vangelo viene promessa la vera felicità a chi si fa discepolo di Cristo, riconoscendo di appartenere al popolo dei «poveri in spirito», ossia di coloro che aprono il proprio cuore a Dio e a lui si affidano, imparando ad accoglierlo presente nelle vicende umili e quotidiane della loro vita. Questa infatti viene dalla fede autentica realmente trasfigurata e riempita di una gioia che il mondo non può offrire. In questa direzione la prima lettura presenta alla contemplazione dei fedeli visioni che descrivono la destinazione finale di quanti si pongono alla sequela di Cristo, aiutando in tal modo anche noi a interrogarci sulla nostra identità di cristiani e sulla nostra fedeltà soprattutto nei momenti in cui la fede è messa alla prova. La prima lettera di Giovanni, nella seconda lettura, richiama a sua volta l’attenzione sulla realtà dell’essere già ora figli di Dio e sulla certezza di fede di poterlo un giorno «vedere così come egli è». Si può adoperare un’espressione che sembra uno slogan per indicare la nostra situazione di cristiani qui sulla terra, e l’espressione è: già, e non ancora. Già salvati dal Signore Gesù, ma non ancora salvi perché possiamo rinnegare questa salvezza. O come è detto nella seconda lettura: già figli di Dio, ma non è ancora stato rivelato ciò che saremo. Il già, vale a dire il dono misterioso ma reale dell’essere figli di Dio, è l’oggetto della nostra fede, il non ancora, cioè la partecipazione eterna alla gloria e alla gioia di Dio, quello che indichiamo con il termine ‘paradiso’, questo è l’oggetto della nostra speranza.
XXXI^ domenica del tempo ordinario
Nella vicenda di Zaccheo il Vangelo ci mette di fronte ad una delle dimensioni centrali dell’esperienza cristiana: cercare l’incontro con Gesù, accoglierlo nella propria casa, ascoltare la sua parola, tutto ciò può trasformare il cuore e la vita. È proprio nei suoi effetti, nella testimonianza concreta nel quotidiano, che si dimostra l’autenticità della fede. La volontà d’amore di un Dio che chiama all’esistenza e conserva in essa tutte le cose è la risposta che la prima lettura indica a chi si chiede perché Dio si riveli tanto paziente con i peccatori. La sua pazienza è frutto della misericordia, che permette ad ogni creatura di aprirsi alla speranza. Per lo stesso motivo la seconda lettura invita i cristiani a non lasciarsi confondere o turbare da coloro che creano inquietudini prospettando la imminente “venuta del Signore”: per Paolo ciò che conta è la «volontà di bene e l’opera della fede». Questo, infatti, glorifica il Signore e prepara al suo incontro.
XXX^ Domenica del tipo ordinario
Nel Vangelo ci è presentato il contrasto tra la preghiera del fariseo e quella del pubblicano: è un quadro che interpella la nostra immagine di vita “religiosa” e ci pone davanti ad una scelta, quella di intendere la religione come pratica istituzionale esteriore e formale, oppure quella di cercare la salvezza dalla nostra povertà nell’affidarci al Padre. Secondo il vangelo viene giustificato chi si fida di Dio e non chi fonda la propria sicurezza nelle sue opere. La metafora a cui ricorre la prima lettura per descrivere la preghiera dell’umile, un grido che penetra le nubi, mostra quale atteggiamento assicura efficacia al pregare: non l’orgoglio che pretende, ma l’umiltà di chi invoca aiuto, consapevole del proprio limite. Non diversi sono i sentimenti che animano Paolo nella seconda lettura: l’offerta della sua vita, nel servizio alla comunità cristiana, esprime tutta la sua fiducia nel Signore, che solo può liberarlo da ogni male e salvarlo.
“Io, Signore, non sono come gli altri…” – Presentarsi così a Nostro Signore, dirgli: lo vedi che sono bravo, più bravo degli altri, non è certo una bella preghiera. E noi, un pensiero del genere, di sentirci migliori in paragone ad altri, non lo abbiamo mai avuto? Con la sua parabola Geù ce ne mette in guardia.