Nel Vangelo viene promessa la vera felicità a chi si fa discepolo di Cristo, riconoscendo di appartenere al popolo dei «poveri in spirito», ossia di coloro che aprono il proprio cuore a Dio e a lui si affidano, imparando ad accoglierlo presente nelle vicende umili e quotidiane della loro vita. Questa infatti viene dalla fede autentica realmente trasfigurata e riempita di una gioia che il mondo non può offrire. In questa direzione la prima lettura presenta alla contemplazione dei fedeli visioni che descrivono la destinazione finale di quanti si pongono alla sequela di Cristo, aiutando in tal modo anche noi a interrogarci sulla nostra identità di cristiani e sulla nostra fedeltà soprattutto nei momenti in cui la fede è messa alla prova. La prima lettera di Giovanni, nella seconda lettura, richiama a sua volta l’attenzione sulla realtà dell’essere già ora figli di Dio e sulla certezza di fede di poterlo un giorno «vedere così come egli è». Si può adoperare un’espressione che sembra uno slogan per indicare la nostra situazione di cristiani qui sulla terra, e l’espressione è: già, e non ancora. Già salvati dal Signore Gesù, ma non ancora salvi perché possiamo rinnegare questa salvezza. O come è detto nella seconda lettura: già figli di Dio, ma non è ancora stato rivelato ciò che saremo. Il già, vale a dire il dono misterioso ma reale dell’essere figli di Dio, è l’oggetto della nostra fede, il non ancora, cioè la partecipazione eterna alla gloria e alla gioia di Dio, quello che indichiamo con il termine ‘paradiso’, questo è l’oggetto della nostra speranza.
XXXI^ domenica del tempo ordinario
Nella vicenda di Zaccheo il Vangelo ci mette di fronte ad una delle dimensioni centrali dell’esperienza cristiana: cercare l’incontro con Gesù, accoglierlo nella propria casa, ascoltare la sua parola, tutto ciò può trasformare il cuore e la vita. È proprio nei suoi effetti, nella testimonianza concreta nel quotidiano, che si dimostra l’autenticità della fede. La volontà d’amore di un Dio che chiama all’esistenza e conserva in essa tutte le cose è la risposta che la prima lettura indica a chi si chiede perché Dio si riveli tanto paziente con i peccatori. La sua pazienza è frutto della misericordia, che permette ad ogni creatura di aprirsi alla speranza. Per lo stesso motivo la seconda lettura invita i cristiani a non lasciarsi confondere o turbare da coloro che creano inquietudini prospettando la imminente “venuta del Signore”: per Paolo ciò che conta è la «volontà di bene e l’opera della fede». Questo, infatti, glorifica il Signore e prepara al suo incontro.
XXX^ Domenica del tipo ordinario
Nel Vangelo ci è presentato il contrasto tra la preghiera del fariseo e quella del pubblicano: è un quadro che interpella la nostra immagine di vita “religiosa” e ci pone davanti ad una scelta, quella di intendere la religione come pratica istituzionale esteriore e formale, oppure quella di cercare la salvezza dalla nostra povertà nell’affidarci al Padre. Secondo il vangelo viene giustificato chi si fida di Dio e non chi fonda la propria sicurezza nelle sue opere. La metafora a cui ricorre la prima lettura per descrivere la preghiera dell’umile, un grido che penetra le nubi, mostra quale atteggiamento assicura efficacia al pregare: non l’orgoglio che pretende, ma l’umiltà di chi invoca aiuto, consapevole del proprio limite. Non diversi sono i sentimenti che animano Paolo nella seconda lettura: l’offerta della sua vita, nel servizio alla comunità cristiana, esprime tutta la sua fiducia nel Signore, che solo può liberarlo da ogni male e salvarlo.
“Io, Signore, non sono come gli altri…” – Presentarsi così a Nostro Signore, dirgli: lo vedi che sono bravo, più bravo degli altri, non è certo una bella preghiera. E noi, un pensiero del genere, di sentirci migliori in paragone ad altri, non lo abbiamo mai avuto? Con la sua parabola Geù ce ne mette in guardia.
XXIX^ domenica del tempo ordinario
La parabola narrata nel Vangelo mostra quale caratteristica possa avere la preghiera cristiana: la perseveranza, che si fa espressione della fiducia. La convinzione che “Dio farà giustizia” può diventare il respiro della nostra vita quotidiana: nel senso che egli può guidarci a ciò che è giusto per noi, riempiendo di significato e di coraggio tutti i momenti e tutti i vissuti. Le braccia tese verso il Padre sono immagine del nostro atteggiamento filiale: così nella prima lettura è raffigurato Mosè, che intercede per il suo popolo con le braccia alzate verso Dio. In modo analogo, il contesto ecclesiale nel quale acquista pienezza di significato il pregare viene indicato nella seconda lettura, che esorta a restare saldi nella fede e nella testimonianza, nutrite dalla conoscenza di Cristo.
Il brano del vangelo rimane in sospeso, con un interrogativo che aspetta una risposta: “quando il Figlio dell’uomo (che è Gesù stesso, giudice alla fine dei tempi) verrà, troverà ancora fede sulla terra?”.
XXVIII^ domenica del tempo ordinario
Raccontando la guarigione dei lebbrosi ad opera di Gesù, il Vangelo richiama la nostra attenzione sulla gratitudine di uno solo, e per di più straniero, un samaritano. Il suo grazie a Gesù nasce in primo luogo da una fede vera, che si esprime nella lode a Dio e nel riconoscere in Gesù il suo amore salvante. Gesù stesso gli conferma: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato». Questa gratitudine è dunque l’atteggiamento fondamentale della persona credente, che scopre come la salvezza non sia conquista, ma grazia. La storia di Naaman, nella prima lettura, testimonia questo stesso atteggiamento di riconoscenza nei confronti di Dio: «Ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele!» Qui motivo di gratitudine è la fedeltà di Dio. La stessa convinzione esprime Paolo nella seconda lettura: «Se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso».
‘Tornare’, ritornare, è un verbo che nel vangelo ha un significato che va oltre a quello che si coglie direttamente. Indica un ritorno fisico, ma anche un ritorno interiore. Ad es. nella parabola del figlio prodigo, il ritorno alla casa del Padre significa il suo ritorno all’amore del Padre.