don Isidoro Mattiello
(Testimonianza di don Egidio Menon)
Nato |
3 aprile 1913 ad Asigliano Veneto (Vicenza) |
Ordinato |
9 marzo 1940 a Vittorio Veneto |
Morto |
21 febbraio 1976 all’ospedale di Vittorio Veneto |
Dalla Omelia del Vescovo monsignor Antonio Cunial in occasione dei funerali che si sono tenuti nel duomo di Serravalle: Don Isidoro Mattiello è tornato al Padre, che ha tanto amato e fatto amare, la mattina del 21 febbraio 1976, dopo oltre due settimane di degenza all’Ospedale di Vittorio Veneto, per complicazioni dei disturbi per i quali soffriva da tempo.
Non aveva ancora 63 anni, essendo nato ad Asigliano Veneto il 3 aprile 1913.
Era noto ed apprezzato soprattutto per la sua mitezza e grande pietà, dovute un poco all’indole, ma molto più ad una sempre docile e generosa corrispondenza ai grandi doni, con i quali Dio Padre per primo lo ha amato.
Quando il 24 ottobre 1929 venne aperta la Casa San Raffaele di Vittorio Veneto, era lui il maggiore del gruppetto di ragazzi che avrebbero poi dato inizio alla comunità di sacerdoti voluta dal Padre Gioachino Rossetto o.s.m., e accolta dall’allora vescovo Mons. Eugenio Beccegato.
Fece i suoi studi nel Seminario diocesano e il 9 marzo 1940 fu il primo sacerdote e il primo direttore dell’Istituto S. Raffaele, ufficio che esercitò fino al 1965.
Fu a Roma durante gli anni della guerra e conseguì la laurea in “utroque jure” al Pontificio Ateneo Lateranense.
In collaborazione con i vescovi Zaffonato, Carraro e Luciani, la nuova Famiglia ha fatto con lui un buon cammino di 25 anni.
Lavorò molto alle Costituzioni della nuova Famiglia; aprì l’Istituto all’esterno inviando sacerdoti in aiuto alla diocesi di Roma, poi di Albano, di Poggio Mirteto e infine di Saó-Mateùs in Brasile.
Ai suoi confratelli e alle signorine dell’Istituto ha insegnato molto con la parola, negli incontri spirituali, e ancora di più con i suoi esempi di umiltà, saggezza, disponibilità generosa, pazienza, dolcezza, intenso anelito interiore, volendo vivere e testimoniare la spiritualità dei figli di Dio.
Similmente tantissime altre anime hanno ricevuto da lui nella confessione e direzione spirituale, nelle numerose missioni al popolo, nella predicazione degli Esercizi spirituali e di Ritiri per i quali era molto ricercato, soprattutto dalle comunità religiose
Apostolato fra tutti preferito era quello verso gli ammalati ai quali sapeva trasfondere tutta la bontà del suo spirito e la sua fede semplice e abbandonata.
Come assistente spirituale dell’UNITALSI ha accompagnato numerosi pellegrinaggi a Loreto e a Lourdes, sempre con tanta edificazione
Quale membro del tribunale ecclesiastico diocesano ha svolto anche compiti delicati, nelle cause matrimoniali e di altro genere, sempre alla ricerca del massimo bene delle persone, secondo Dio.
Si impegnò con entusiasmo nel cercar di mettere in luce anime grandi del nostro ambiente, degne di essere imitate.
In questo senso don Isidoro, ha collaborato più che .volentieri alla introduzione della causa di beatificazione di Fra Claudio Granzotto da S. Lucia di Piave, ed ha messo insieme tanti documenti sulle virtù-e sulla testimonianza di fede sino al sangue, data dà D. Giovanni Brescacin, parroco di Cappella Maggiore, assassinato durante l’ultima guerra, ma soprattutto ha raccolto molte memorie relative al fondatore dell’Istituto S. Raffaele
L’aspetto più caratteristico di don Isidoro è stato quello di trasmettere fedelmente la spiritualità e l’eredità spirituale di Padre Rossetto.
Il suo fraseggiare, i suoi modi di dire, le espressioni programmatiche (Tanto si vive quanto si muore, ecc.) ricalcavano quanto aveva assimilato da Padre Rossetto..
In tal modo ha raggiunto anche lui la grandezza degli umili.
Così Mons. Cunial ha comunicato ai presenti il profilo di D. Isidoro il giorno del suo funerale.
Notizie scarne, essenziali, che sottolineano soprattutto la sua diocesaneità.
Don Isidoro rappresenta per noi Sacerdoti di San Raffaele, la continuità, l’anello che ci lega al nostro fondatore. A noi, infatti è mancato il “padre”.
Padre Rossetto è mancato troppo presto, quando parecchi di noi non erano ancora formati: non avevamo ancora le ossa abbastanza robuste per affrontare le responsabilità, i compiti ed i rischi della nuova istituzione. Senza voler sminuire il valore del servizio e dell’aiuto prezioso che abbiamo avuto dalle Sorelle dell’Istituto secolare femmine, in molte occasioni abbiamo avvertito la privazione del “padre”.
D. Isidoro ci è rimasto come “Fratello maggiore”, carico della responsabilità di trasmettere quanto aveva imparato direttamente da p. Rossetto. E lo trasmise con fedeltà assoluta, come sottolineato da Mons. Cunial alla fine delle sue parole sopra riportate.
Don Isidoro ci insegna anche un incondizionato amore alla Famiglia. Per essa lavorò molto, prima assieme ad Emanuela, poi con Elsa, due responsabili dell’Istituto femminile delle Figlie di Dio, fondato da Padre Rosetto.
Lavorò con la testa, mettendo a disposizione la sua formazione in Diritto canonico per arrivare ad una sistemazione giuridica della Famiglia, sempre conservando l’intuizione iniziale e lo spirito di p. Rossetto.
Ma lavorò anche con le mani, fisicamente: chi di noi non lo ricorda, assieme al fratello Toni, intento a sistemare impianti elettrici, o termosifoni, o rubinetti?…E quando arrivò il tempo dell’infermità, quando faceva fatica a ricordare, ad applicarsi, o anche solo a leggere, offriva in silenzio le sue sofferenze per la Famiglia: ecco D. Isidoro.
Possiamo concludere con le espressioni riportate nell’immagine-ricordo redatta e distribuita in occasione del trigesimo della sua morte:
“Lasciati portare!” E’ stata il programma della sua fede.
“Butta nel Signore la tua preoccupazione ed Egli ti darà sostegno”(Salmo 55,23)
Era il sospiro della sua speranza.
“Tanto si vive quanto si muore”. Fu la misura della sua carità, come disponibilità piena a Dio e al prossimo, nella Chiesa e nella comunità, fino alla morte con Cristo, in attesa della risurrezione con Lui.
Tre espressioni che sono il vero ritratto del “nostro” D. Isidoro.
Tre espressioni che ripetono anche a noi, oggi, quale dev’essere il cammino del nostro sacerdozio: il nostro programma, il nostro sospiro, la misura della nostra carità.
Solo se sapremo vivere così, come lui è vissuto, D. Isidoro sarà veramente “nostro”.